BANCHETTI LETTERARI
Una laurea in Lettere nel
cassetto (…i percorsi della vita sono, fortunatamente, imprevedibili e non
sempre ti portano nella direzione che avresti immaginato…) e un’innata passione
per la cultura enogastronomica.
Impossibile rifiutare, quindi, l’invito
ricevuto quasi un mese fa a partecipare a una cena organizzata in
collaborazione con la condotta Slow Food Valsesia di cui faccio parte; cena
durante la quale veniva presentato un libro ricco di spunti molto interessanti,
il cui titolo dice tutto: “Banchetti Letterari”.
Circa 50 voci dedicate ai cibi e alle bevande che compaiono, qua e là, nella
letteratura italiana, dal pane di Dante e di Manzoni al timballo di maccheroni del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa,
passando per le salsicce e i formaggi del paese di Bengodi del Decameron di Boccaccio, sino ad arrivare all’amato (anche da me) Commissario
Montalbano di Camilleri e ai suoi indimenticabili pranzi in riva al mare.
E, per rimanere in tema, il piatto forte della serata non poteva che essere il "risotto alla milanese"... No, non uno qualunque, bensì il risotto alla milanese secondo Carlo Emilio Gadda.
Ed è quindi a lui che cedo la parola...
"L’approntamento di un buon risotto alla milanese
domanda riso di qualità, come il tipo Vialone, dal chicco grosso e
relativamente più tozzo del chicco tipo Caterina, che ha forma allungata, quasi
di fuso. Un riso non interamente « sbramato », cioè non interamente spogliato
del pericarpo, incontra il favore degli intendenti piemontesi e lombardi, dei
coltivatori diretti, per la loro privata cucina. Il chicco, a guardarlo bene,
si palesa qua e là coperto dai residui sbrani d’una pellicola, il pericarpo,
come da una lacera veste color noce o color cuoio, ma esilissima: cucinato a
regola, dà luogo a risotti eccellenti, nutrienti, ricchi di quelle vitamine che
rendono insigni i frumenti teneri, i semi, e le loro bucce velari. Il risotto
alla paesana riesce da detti risi particolarmente squisito, ma anche il risotto
alla milanese: un po’ più scuro, è vero, dopo l’aurato battesimo dello
zafferano.
Recipiente classico per la cottura del risotto alla
milanese è la casseruola rotonda, ma anche ovale, di rame stagnato, con manico
di ferro: la vecchia e pesante casseruola di cui da un certo momento in poi non
si sono più avute notizie: prezioso arredo della vecchia, della vasta cucina:
faceva parte come numero essenziale del « rame » o dei «rami» di cucina, se un
vecchio poeta, il Bussano, non ha trascurato di noverarla nei suoi poetici «
interni », ove i lucidi rami più d’una volta figurano sull’ammattonato, a
captare e a rimandare un raggio del sole che, digerito il pranzo, decade.
Rapitoci il vecchio rame, non rimane che aver fede nel sostituto: l’alluminio.
La casseruola, tenuta al fuoco pel manico o per una
presa di feltro con la sinistra mano, riceva degli spicchi o dei minimi pezzi
di cipolla tenera, e un quarto di ramaiolo di brodo, preferibilmente di manzo:
e burro lodigiano di classe.
Burro, quantum prodest, udito il numero de’
commensali. Al primo soffriggere di codesto modico apporto,
butirroso-cipollino, per piccoli reiterati versamenti, sarà buttato il riso: a
poco a poco, fino a raggiungere un totale di due tre pugni a persona, secondo
l’appetito prevedibile degli attavolati: né il poco brodo vorrà dare inizio per
sé solo a un processo di bollitura del riso: il mestolo (di legno, ora) ci avrà
che fare tuttavia: gira e rigira. I chicchi dovranno pertanto rosolarsi e a
momenti indurarsi contro il fondo stagnato, ardente, in codesta fase del
rituale, mantenendo ognuno la propria « personalità »: non impastarsi e neppure
aggrumarsi.
Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non
deve far bagna, o intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non annegarlo. Il
riso ha da indurarsi, ho detto, sul fondo stagnato. Poi a poco a poco si
rigonfia, e cuoce, per l’aggiungervi a mano a mano del brodo, in che vorrete
esser cauti, e solerti: aggiungete un po’ per volta del brodo, a principiare da
due mezze ramaiolate di quello attinto da una scodella « marginale », che
avrete in pronto. In essa sarà stato disciolto lo zafferano in polvere, vivace,
incomparabile stimolante del gastrico, venutoci dai pistilli disseccati e poi
debitamente macinati del fiore. Per otto persone due cucchiaini da caffè.
Il brodo zafferanato dovrà aver attinto un color
giallo mandarino: talché il risotto, a cottura perfetta, venti-ventidue minuti,
abbia a risultare giallo-arancio: per gli stomaci timorati basterà un po’ meno,
due cucchiaini rasi, e non colmi: e ne verrà fuori un giallo chiaro canarino.
Quel che più importa è adibire al rito un animo timorato degli dei è reverente
del reverendo Esculapio o per dir meglio Asclepio, e immettere nel sacro « risotto
alla milanese » ingredienti di prima (qualità): il suddetto Vialone con la
suddetta veste lacera, il suddetto Lodi (Laus Pompeia), le suddette cipolline;
per il brodo, un lesso di manzo con carote-sedani, venuti tutti e tre dalla
pianura padana, non un toro pensionato, di animo e di corna balcaniche: per lo
zafferano consiglio Carlo Erba Milano in boccette sigillate: si tratterà di
dieci dodici, al massimo quindici, lire a persona: mezza sigaretta. Non
ingannare gli dei, non obliare Asclepio, non tradire i familiari, né gli ospiti
che Giove Xenio protegge, per contendere alla Carlo Erba il suo ragionevole
guadagno. No! Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano,
Casalbuttano, Soresina, Melzo, Casalpusterlengo, tutta la bassa milanese al
disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all’Adda e insino a Crema e
Cremona. Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette:
no!
Tra le aggiunte pensabili, anzi consigliate o
richieste dagli iperintendenti e ipertecnici, figurano le midolle di osso (di
bue) previamente accantonate e delicatamente serbate a tanto impiego in altra
marginale scodella. Si sogliono deporre sul riso dopo metà cottura all’incirca:
una almeno per ogni commensale: e verranno rimestate e travolte dal mestolo (di
legno, ora) con cui si adempia all’ultimo ufficio risottiero. Le midolle
conferiscono al risotto, non più che il misuratissimo burro, una sobria
untuosità: e assecondano, pare, la funzione ematopoietica delle nostre proprie
midolle. Due o più cucchiai di vin rosso e corposo (Piemonte) non discendono da
prescrizione obbligativa, ma, chi gli piace, conferiranno alla vivanda quel
gusto aromatico che ne accelera e ne favorisce la digestione.
Il risotto alla milanese non deve essere scotto,
ohibò, no! solo un po’ più che al dente sul piatto: il chicco intriso ed
enfiato de’ suddetti succhi, ma chicco individuo, non appiccicato ai compagni,
non ammollato in una melma, in una bagna che riuscirebbe schifenza. Del
parmigiano grattuggiato è appena ammesso, dai buoni risottai; è una
banalizzazione della sobrietà e dell’eleganza milanesi. Alle prime acquate di
settembre, funghi freschi nella casseruola; o, dopo S. Martino, scaglie
asciutte di tartufo dallo speciale arnese affetto-trifole potranno decedere sul
piatto, cioè sul risotto servito, a opera di premuroso tavolante, debitamente
remunerato a cose fatte, a festa consunta. Né la soluzione funghi, né la
soluzione tartufo, arrivano a pervertire il profondo, il vitale, nobile
significato del risotto alla milanese.”
Magnifico questo post! la ricetta raccontata e commentata è fantastica. Anche io sono stato "folgorato" a milano quando ho assaggiato il vero risotto alla milanese con annesso osso buco, per non parlare della cotoletta alla milanese che prima di quella sera pensavo fosse una soletta fritta!un abbraccio,Peppe.
RispondiEliminaQuesto libro dove posso trovarlo? mi interessa parecchio. ciao peppe.
RispondiEliminaInnanzitutto grazie per il complimento, Peppe! Capisco la folgorazione... io poi sono un'amante dei risotti, per cui sfondi una porta aperta.
RispondiEliminaIl libro è edito da CAROCCI EDITORE, per cui credo che tu possa trovarlo facilmente nelle principali librerie. Altrimenti lo puoi anche acquistare nel sito di IBS (http://www.ibs.it/code/9788843062386/banchetti-letterari-cibi.html). A presto!